Festival del Cinema di Roma, The Birth of a Nation – recensione di Salvatore Cusimano


birthNato in schiavitù nella contea di Southampton, in Virginia, il giovane Nat fantastica di essere consacrato come profeta dai suoi antenati africani. Benvoluto dai padroni e dai compagni, impara a leggere e riceve in dono una Bibbia. Da adulto, Nat diventa un predicatore di grande eloquenza. Quando il suo padrone decide di sfruttarne le capacità oratorie per il proprio tornaconto, Nat viene mandato a predicare in altre piantagioni, dove prende atto delle privazioni e delle torture subite dagli schiavi e decide che i sermoni non bastano a contrastare queste orribili ingiustizie. È la storia vera dello schiavo afro-americano Nat Turner che si trasformò in un rivoluzionario e guidò una sanguinosa insurrezione in Virginia nel 1831, liberando di piantagione in piantagione gli schiavi e provocando la morte di 60 bianchi tra uomini, donne e bambini. Una delle più controverse figure americane della storia, che attraverso l’amore, la fede e il sacrificio, ha combattuto per far sì che le generazioni future trovassero la forza di lottare per difendere gli oppressi.
Fortemente impegnato nel sociale, il regista Nate Parker ha fondato la Nate Parker Foundation, un ente pubblico creato per fornire sostegno monetario e tecnico a un numero significativo di organizzazioni comunitarie dedicate a trasformare la vita delle persone africane nate negli Stati Uniti o all’estero. Parker ha dedicato la sua carriera e la vita a utilizzare il suo ruolo di artista e attivista per ispirare una protesta di fronte alla comunità e alle ingiustizie globali.
Di lungometraggi sulla schiavitù e sulle sue crudeltà, la filmografia americana è piena, si pensi a Steve McQueen e alla sua tenuta ineccepibile di “12 anni schiavo”, una sorta di modello a cui aspirare in questo genere di storie e invece siamo di fronte a una copia sbiadita, per non parlare di ‘Django Unchaiened’, di cui però non ha la vena ironica tipica di Tarantino, anzi qui si eccede un po’ in retorica che appesantisce la narrazione. Un dramma biografico ricco di orrore, che suscita sì delle emozioni ma anche inevitabile disagio, ed in cui in teoria si potrebbe anche dibattere circa l’interpretazione delle Sacre Scritture per fini di vendetta contro le ingiustizie del mondo, ma l’eccessiva lunghezza prende il sopravvento su qualsiasi altra considerazione. Questa è una storia che probabilmente convincerà l’Academy dell’Oscar per l’anno prossimo, grazie alla sua innegabile solennità, ma risulta così enfatico e retorico che alla fine va oltre i suoi pur pregevoli fini.

Salvatore Cusimano

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.